L'UOMO CHE PIANGEVA
Quel giorno con gli sci raggiunse la base di quell’immensa parete che poco più di un mese prima lo aveva respinto. Non era né con Gigi e nemmeno con Alberto, che lo avevano seguito nel provare un’impresa che andò mancata, ma era con tre amici che di lì a poco lo avrebbero lasciato solo, in gran segreto, a bivaccare sotto l’alto “muro” che lo sovrastava prima dell’inizio, la mattina seguente, del nuovo tentativo di salita sulla difficile parete nord di quella piramide.
Dormì su uno spiazzo scavato nella neve, o forse non dormì, ma di sicuro sperava di aprire gli occhi il mattino del 19 febbraio 1965 e di ritrovarsi in una tormenta, per evitare quella fatica, quell’andare incontro all’ignoto. Invece il cielo azzurro sopra di lui lo tradì, e visto che non era Uomo da tirarsi indietro cominciò la sua salita. Lui e il suo compagno, lo zaino, il quale ogni volta aspettava che l’Uomo arrivasse ad attrezzare la sosta, per poi vederlo tornare indietro ed essere caricato sulle grandi spalle per una risalita lungo la corda. Su, giù, su. Su, giù, su. Su, giù, su… fino a quando calò la sera e si dovettero fermare in parete per il secondo bivacco.
Si alzò il vento quella notte. Forte. Fra le rocce si sentiva l’ululare dell’aria. Nuovamente il pensiero corse verso un’altra tormenta. Non per tornare battuto, ma per tornare vivo. Scivola la notte.
La mattina ancora un altro tradimento. Ancora l’azzurro del cielo. Quell’Uomo deve ripartire. Nuovamente in parete sulla roccia gelida, quella che ti taglia le mani, che te le fa sanguinare. Ma oltre la roccia, poco più su si presenta anche la neve, su quel traverso che con il suo nome quasi schernisce l’alpinista: Traversata degli Angeli. Ne servirebbero un paio, prendendo l’Uomo per le sue vesti e con un breve volo, per riuscire a fargli passare velocemente quel tratto. Invece no, deve lottare per passare.
La lotta è impari. La montagna lo attira, ma lo respinge. Lui deve anche recuperare il suo compagno, sempre. Su ad allestire la sosta. Giù a recuperare lo zaino. Su risalendo la corda. Una, due, tre e più volte. Il ballo della sicurezza, quello che porta a fare due volte la salita e una volta la discesa durante la stessa impresa. Ma continua. Non può redimersi nel continuare a farlo. Poi ancora la notte. Conosce bene dove sta riposando. E’ lo stesso bivacco dove si ritirò assieme a Gigi e Alberto. I pensieri si accavallano. Sparito invece è quello di una tormenta in arrivo. Il gelo aumenta. Bisogna riposare.
La mattina seguente riparte. Il cielo azzurro lo spinge in alto. La parete ora diventa completamente verticale, a volte strapiombante, altre liscia, in alcuni tratti anche ghiacciata. Bisogna arrampicare duramente. Come se prima fosse stato facile… ma da qui in poi non si può più tornare alla base della nord di questa montagna. Il gelo è sempre più intenso. Le mani letteralmente si aprono. Ma l’Uomo non cede. E attenzione, che non è un cedere in una battaglia con la montagna. Qui non c’è battaglia o guerra. E’ un non cedere al suo voler salire!
Un altro bivacco. L’ultimo. Forzatamente l’ultimo. La stanchezza ormai ha superato i limiti. La notte non può essere accompagnata dal sonno. Il compagno è stato quasi completamente svuotato per essere più leggero lungo la dura giornata appena passata. Il mangiare è poco. Il freddo implacabile. Questa salita deve finire.
Il giorno seguente ancora cielo azzurro. Uno strapiombo da superare. L’Uomo lo passa. Da qui alla vetta la salita diventa quasi facile per lui. Quasi. Così nel primo pomeriggio è in cima. La gente tutta in quel momento sa che è là sopra. Il vociferare poco cauto di certe persone e i razzi di segnalazione usati le sere antecedenti per far capire che stava bene ai tre amici, che lo accompagnarono pochi giorni prima con gli sci ai piedi di quella parete, avevano attirato l’attenzione di quelli che sapevano che solo un Uomo poteva essere così forte e così pazzo da tentare un’impresa simile. Anche i media erano accorsi, addirittura con gli aerei per cercare un punto nell’immensità della roccia e del ghiaccio, i quali sembravano solo che disturbare con i loro motori le voci della montagna. Ma in quel momento l’Uomo non udiva nulla. Piangeva. Piangeva inginocchiato e abbracciato a quella struttura di ferro posta sulla cima. Piangeva di gioia.
Piangeva di gioia sul Cervino quel 22 febbraio 1965 Walter Bonatti.