PELMO el caregon del Padreterno
05 giugno 2022
Una domenica con Valentina (e Zoe).
Ma il tutto inizia sempre qualche giorno prima.
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Andiamo domenica?
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Si.
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Dove?
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Non saprei. Hai qualche idea?
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Amore, sai che mi affido sempre a te…
E così che poi passo a guardare mappe e libri per trovare un itinerario che assieme non abbiamo mai fatto, che non sia la solita “tirata” che a me piace, che magari ci sia un rifugio o qualcosa di simile nel mezzo… e che alla fine non trovo. O meglio, alla fine mi ritrovo con più giri da fare ma che mi trovo in difficoltà sul quale effettivamente fare e quindi l’ultima parola, spesso, resta alla mia compagna.
Questa volta fra le tante ne esce d’andare al rifugio Venezia da Zoppè di Cadore. Valentina si illumina e mi chiede se ci sono mai stato. Mai. Zoppè per me era rimasto un puntino sulla mappa che avevo sempre snobbato. Lei invece quel tratto lo aveva già percorso e se lo ricorda come una bella escursione e mi comunica che con piacere lo rifarebbe.
Detto fatto.
Al mattino ce la prendiamo con calma, abbiamo tutto il giorno davanti e il meteo non prevede pioggia. Arriviamo al piccolo paese montano alle 10, parcheggiando nello spiazzo del museo, in questo periodo ancora chiuso. Una foto al vicino capitello e iniziamo l’escursione.
Passiamo qualche cosa. Alcune persone sono fuori casa e ci salutano con un sorriso. Ricambiamo. Fa sempre piacere ricevere un buongiorno, soprattutto in questi casi dove ha un sapore più di “benvenuti”.
Troviamo facilmente il sentiero CAI 471 che dopo un breve tratto di mulattiera si inerpica più stretto fra le alte conifere. Un piacere camminare sotto questo sottobosco, un distesa morbida di terra e aghi di pino che sembra un maxi tappeto adagiato alle tavole in legno del pavimento di una vecchia casa. Mancava ad entrambi un camminare in un bosco del genere.
Poi il sentiero si innesta a una strada forestale. Gli abeti per un attimo si aprono. Una cartolina. Il Pelmo in tutta la sua magnificenza si alza davanti a noi. Wow. Da questa angolatura si può assolutamente chiamare il Caregòn del Padreterno.
Dopo la sosta obbligata continuiamo seguendo la carrareccia che passa sotto le Crode de Pena. La dobbiamo abbandonare dopo qualche centinaio di metri a causa di lavori. Una traccia ben segnata da paletti ci fa salire attraverso i pascoli che scendono dalla Viza Vecia e che fra lo scampanare di mucche e cavalli ci fa raggiungere il sentiero 475 che parte da Villanova di Borca di Cadore. Da qui possiamo vedere a poca distanza il rifugio Venezia ma quello che ora attira maggiormente la nostra attenzione sono i colori dei fiori che colorano questi alti prati. La natura è veramente meravigliosa.
Piano piano, facendo un bel po’ di foto a botton d’oro, primule farinose, genziane, genzianelle e altre piccole pinte fiorite, eccoci al rifugio. Peccato che sia ancora chiuso, ma sapendolo ci siamo organizzati con panini per noi e crocchette per Zoe. Vabbè, poi anche la cagnolina avrà la sua dose di prosciutto dopo un paio di sguardi sdolcinati.
Riposiamo distesi su una panchina in legno mentre le nuvole vanno e vengono. Ormai mezzogiorno è passato da un pezzo ed il Pelmo inizia ad avere il suo classico cappello bianco.
Rientriamo.
Faccio presente a Valentina che faremo un giro ad anello. Mi guarda perplessa, pensava di rientrare per il percorso fatto all’andata. In realtà non siamo ancora a metà dello sviluppo.
Prendiamo così il sentiero 472 ce prima scende fino a una evidente strana formazione rocciosa chiamata la “dambra” (zoccolo) per poi risalire un po’ fino ai campi so’ Pelf e i Lac.
Qui alcune tabelle indicano il bivio dove dobbiamo girare per iniziare finalmente la discesa.
Eccoci sul 499. Da prima su ampi pascoli, il percorso poi segue la cresta che ci porta al Sass de Formedal. Anche da qui la vista verso il Pelmo è fantastica e così capiamo il motivo della presenza di due panche e un tavolo. Una pausa per chi sale, che non è più il nostro caso, qui è d’obbligo. Scendiamo lungo il vecchio sentiero, ignorando le nuove frecce, che ripidissimo segue ancora la cresta verde. Facciamo attenzione in quanto il pendio è veramente ripido, in compenso si perde quota in un attimo.
Poco prima della forcella del Mur il tutto si addolcisce e si passa a camminare da una cresta a un’ampia dorsale. Alla nostra destra un muretto a secco continua per centinaia di metri, interrato su un lato. Sembra più una trincea. Restiamo con il dubbio.
Nelle vicinanze della baita di Daré Dof il sentiero si congiunge a una strada bianca e seguendola, fra quattro chiacchiere (che oggi non sono di certo mancate) e due risate (di certo non le prime) arriviamo a passo Tamài.
Seguiamo una divertente tabella che indica uno “scurtòn”. Erba alta e poi bosco e si scende. Il sentiero però ancora non è formato, passatemi il termine, ma solo tracciato e con qualche gradino accennato. Tagliamo un paio di tornanti, ci accorgiamo che comunque stiamo facendo quasi più sviluppo che non con la strada e quindi appena ne abbiamo l’occasione torniamo su di essa.
Più rilassati lasciamo andare le gambe fra i tornanti. Cerchiamo poi il punto dove un sentiero ci dovrebbe riportare a Zoppè senza scendere fino al suo cimitero, posto all’entrata del paese e che ci costringerebbe di risalire più di 100 metri di dislivello per arrivare all’auto. Niente, non lo vediamo.
Rassegnati procediamo verso il campo santo.
Dopo poco Valentina si ferma di colpo e mi indica un altro di quei simpatici cartelli dalle frasi in rima: ecco il sentiero per Zoppè!
Attraversiamo così il Ru Torto e poi comunque dobbiamo fare un’ultima fatica per risalire fra alti erboni fino alle case del paese.
Passando a fianco di una vecchia casa quasi invidio i due anziani che riposano beati sui loro sdrai all’ombra di un abete. O forse no…
Prima di arrivare alla macchina mi fermo a una delle tante fontanelle presenti fra le abitazioni. Quanto mi piace l’acqua gelida della montagna. Anche Zoe apprezza. Valentina fila invece verso il parcheggio. Da cavaliere riempio la borraccia anche per lei. Un piccolo gesto che apprezza.
Così il bell’anello è concluso. Non ci resta che rientrare a casa stanchi ma felici.