RIFUGIO SETTIMO ALPINI
02 giugno 2022
Pensare a dove andare, in un posto nuovo, non è mai facile. Ti sembra d’esser stato ovunque e invece quello che hai visto è solo un’infinitesima parte di ciò che ti circonda, ma quel pensiero del “oddiononsochefare” incombe sempre. In più non essere da solo ma con la mia compagna, Valentina, complica un pochino maggiormente la cosa. Così cerco nel web, apro due o tre app sul telefono, guardo tramite Facebook quello che ultimamente hanno fatto gli amici e alla fine chiudo gli occhi e punto il dito su una mappa. No, beh, non proprio, ma alla fine è proprio tramite le mappe che scelgo e la scelta questa volta ricade sulla non lontana val De L’Art che scende dalla Schiara scavata dal torrente Ardo.
Non mi aspetto un granché, e chissà poi perché, ma è un’uscita nuova in un posto che ho sempre snobbato benché ci sia passato vicino più e più volte. Da Belluno infatti è un attimo arrivare al parcheggio di case Bortot dove ha inizio il sentiero CAI 501 che segna la partenza (o l’arrivo) dell’Alta Via numero 1 delle Dolomiti e che vede al suo estremo opposto il lago di Braies a circa 125 km di distanza.
Zaini in spalla e si va.
Il sentiero è all’inizio una bella e ampia mulattiera. Qui ci sarebbe da visitare il Bus del Buson, facilmente accessibile dopo qualche centinaio di metri e ottimamente segnalato, ma ce lo teniamo buono per una prossima volta. Delle rosse fragoline di bosco attirano subito l’attenzione di Valentina che ne approfitta però le prometto che ci fermeremo al rientro per la scorpacciata e così la convinco a proseguire.
Saliamo un centinaio di metri di dislivello e la mulattiera si fa sentiero. Il bosco ombreggia non poco e l’aria che sale dalla profonda valle rinfresca ancor di più. Il sole va e viene ma alla fine la temperatura è ideale per questa escursione a sud e a quota modesta.
Perdiamo ora i 100 metri guadagnati e subito dopo una distesa di aglio selvatico che invadeva con il suo profumo tutto l’ambiente, arriviamo a un ponte in cemento che ci fa attraversare il torrente. Continuiamo lungo il 501, l’unico sentiero che oggi calpesteremo, mentre le tabelle che indicano il rifugio 7mo Alpini non mancano quando servono.
Altro tratto di bosco, qua e là lungo ampie cenge, prendendo ora quota ma senza mai tirare troppo. Valentina ringrazia. Zoe, la nostra fida cagnolina, sbadiglia. Arriviamo ad un altro ponte in cemento, poco sopra i mille metri sul livello del mare, e subito oltre inizia un tratto magnifico: più si sale e più l’Ardo si fa sentire fra scivoli e pozze smeraldine, pazientemente scavate in migliaia d’anni.
Arriviamo così a un terzo ponte in cemento, molto piccolo, dove ci concediamo una pausa e visitiamo un paio di cascate lì vicine, con le loro piscine naturali e dall’acqua trasparente e fredda come questi luoghi regalano.
Riprendiamo il cammino e manca il pezzo più duro, anche se in realtà il percorso è meno inclinato da quello che la mappa sembrava mostrare. Rientriamo nel bosco che qui sembra molto simile all’ultimo tratto che porta al rifugio Pian de Fontana. Tutto sommato non è nemmeno così strana questa similitudine visto che in linea d’aria siamo veramente vicini anche se il versante è quello opposto.
Appena usciamo dal bosco ecco il rifugio, adagiato sui prati colorati dalle molteplici fioriture di questo periodo. Una paio di persone stanno riposando davanti alle azzurre porte chiuse della struttura. Salutiamo e proseguiamo alla piccola chiesetta posta a pochi metri più sù dove non posso non tirare il cordone viola che sporge dalla grata e suonare la campana. Peggio di un bambino. Poi ci dirigiamo all’adiacente bivacco invernale, ben tenuto, e occupiamo la panchina appoggiata esternamente alla sua parete esposta a sud per goderci il sole che va e viene a causa delle nuvole che ora si allungano dalla Schiara e ora si ritirano verso le alte pareti dietro di noi.
L’orologio mi indica appena più di 900 metri di dislivello e quando lo dico alla mia compagna le esce un sorriso di soddisfazione visto che per vari motivi non riesce a frequentare questi luoghi quanto e come vorrebbe. Ci rilassiamo e mangiamo i panini precedentemente preparati. La Zoe ne approfitta e fa finta di non vedere i suoi croccantini. Con gli occhioni imploranti non possiamo che lasciare qualche morso anche a lei. Infine, dopo il frugale pasto, non ci resta che abbioccarci, la Vale sulla panchina, la Zoe sotto la panchina all’ombra e io disteso sul prato.
Quasi alle due del pomeriggio decidiamo per rimetterci in moto, è ora di rientrare.
Rifacciamo il medesimo percorso fatto all’andata. La discesa fila via liscia e non risulta mai troppo faticosa, incontrando anche due magnifiche salamandre pezzate e facendo una sosta sempre alle stupende cascatelle. La voglia di un bagno è tanta ma desistiamo. Poi giù nuovamente per il sentiero fra discorsi sul futuro, sia suo che mio che conseguentemente della famiglia, e infine non ci resta che rallentare per le fragoline. Una promessa è una promessa. Che dolci! E che profumo di menta per cercarle, visto che anche questa abbonda a bordo della mulattiera.
Giunti alla macchina con oltre 1000 metri di dislivello nelle gambe non ci resta che rimettere gli zaini in auto, bere l’ultima acqua che ci resta nelle borracce, darne un po’ anche Zoe e godere dell’ultimo sguardo verso la valle.
Alla fine non mi aspettavo un granché, come avevo scritto poco sopra, ma mi devo ricredere. Un percorso veramente interessante, lungo ma non troppo faticoso, vario e pieno di sorprese. Ci tornerò sicuramente, magari con il rifugio aperto, oppure sempre in zona per andare a vedere quel “Bus del Buson” che con il suo strano nome attira non poco o chissà, per qualche altro sentiero che ancora non conosco e che magari la mappa mi farà scegliere.
Così la giornata montana è praticamente giunta al termine però manca un’ultima cosa, una tappa a Belluno per una super coppa di gelato con un blocco di panna sopra. Slurp!